Un manifesto tascabile

Da una settimana a questa parte tutte le testate titolano: Quest’anno la Biennale d’Architettura di Venezia si farà!

Ne siamo felici, anche perché gli intenti del curatore Hashim Sarkis sono l’ideale per un presente complesso, critico e bisognoso di azioni concrete. Infatti, nella presentazione ufficiale alla stampa dello scorso lunedì, Sarkis ha sottolineato il carattere laboratoriale della Biennale 2021 che, ha detto, “assomiglierà più ad un processo che ad un evento: si vedrà il dietro alle quinte dei padiglioni, gli eventi dureranno anche oltre la chiusura e gireranno il mondo, ci sarà una collaborazione con la biennale danza che meglio di ogni disciplina può insegnare la relazione tra corpo e spazio, si discuterà di architettura e Antropocene…

Tutto questo porta con sé un’altra ottima notizia ed è l’assegnazione del Leone d’Oro a Lina Bo Bardi, la figura che meglio di ogni altra incarna l’approccio transdisciplinare dell’architettura. Su questo però ci piacerebbe dire la nostra. Tra le opere di Lina si continuano a citare il MASP (Museo de Arte di São Paulo) e la Casa de Vidro. Non fraintendete, si tratta di due progetti straordinari, rivoluzionari, che ne hanno influenzato molti altri. Però per noi, appassionati di territori minori, Achillina Bo resta l’architetto di un formidabile e piccolo progetto di periferia: la Capela Santa Maria dos Anjos. 

Non possiamo certo permetterci il lusso di suggerire a Sarkis cosa raccontare di Lina, durante la cerimonia del 22 maggio, possiamo però renderle onore, a modo nostro, scrivendo una cartolina da Vargem Grande Paulista, il paesino dell’area metropolitana di San Paolo (Brasile), conosciuto per la chiesetta rossa con il portico in paglia. 

Questa è un’altra della mie “bazzecole”… Come sempre, non avevo soldi. Ma il risultato è formidabile. Durante le cerimonie, all’interno, risuonano addirittura echi di voci misteriose.

Lina Bo

Le parole di Lina già dicono tutto. Per la Capela Santa Maria dos Anjos non c’era budget, ma nonostante questo l’opera ha una tale potenza da poter essere considerata il manifesto –tascabile ci permettiamo di aggiungere- del suo metodo di progettazione e della sua visione per un’architettura povera, intesa non come carente dal punto di vista economico, ma al contrario come capace di comunicare, con mezzi umili e scelte semplici, la dignità degli spazi e delle comunità “minori”, la profondità delle tradizioni culturali e l’importanza del pensiero socio-politico come base del progetto.

© Instituto Lina Bo e P.M. Bardi/foto: Henrique Luz

La cappella è un cubo di blocchi di cemento, rivestiti esternamente da un sottile strato di terra cruda rossa, mentre gli interni sono intonacati di bianco, senza alcuna decorazione. Il tetto è fatto di tronchi in legno e tegole in terracotta e l’intero volume è circondato da un porticato di rami e paglia, realizzato con la tecnica tradizionale della latada (graticcio) tipica dell’architettura popolare di campagna brasiliana. 

© Instituto Lina Bo e P.M. Bardi

La pianta quadrata è di una semplicità disarmante ma è lì che è racchiusa tutta la potenza dell’opera. Lina taglia i due angoli opposti del quadrato, in uno colloca l’unica porta d’ingresso, nell’altro posiziona l’altare. Non è difficile immaginare quanto possa essere inaspettato entrare in un volume semplice, come è di fatto un cubo, da un angolo piuttosto che dal lato, un gesto apparentemente modesto ma capace di amplificare quel senso di meraviglioso stupore che un fedele prova nel varcare la soglia di un luogo sacro. La superficie pavimentata, in cemento battuto, è completamente complanare, ossia non c’è gerarchia, l’altare e le sedie, disposte liberamente nello spazio, sono posizionate sullo stesso piano.

Questa capacità di sintesi Lina la raggiunge grazie al sodalizio con due discipline a lei molto care: la politica e il teatro. 

Si racconta infatti che la scelta di eliminare il piano rialzato dell’altare sia stata in seguito ad una conversazione con il drammaturgo Zé Celso. Mentre viaggiavano da San Paolo a Florianopolis, per le riprese del film Prata Palomares, di cui Lina curò scenografia e costumi, discussero del concetto drammaturgico Te-Ato

1 che indagava la relazione tra le persone e lo spazio. Una riflessione che nasce da un fusione disciplinare ancora più profonda, quella tra spazio e politica. Lina Bo Bardi fu infatti una grandissima sostenitrice della visione di Gramsci, anzi a lei viene attribuito il merito di averne parlato per la prima volta in Brasile. Di Gramsci, Lina apprezza la visione umanistica e la trasla nell’architettura, realizzando spazi dove “le persone possano sentirsi libere di muoversi, di vivere, di esprimersi”. Ecco il perché di una cappella con sedie mobili invece dei banchi, senza decorazioni, senza il piano rialzato dell’altare, come se l’oggetto sacro fosse il senso di comunità e la celebrazione fosse per quel modo di stare insieme che solo una politica generosa può permettere. Lina stessa definì la cappella “una metafora della comunione tra i cittadini, quindi uno spazio democratico”. 

© Instituto Lina Bo e P.M. Bardi. Archivio: novembre 1964

È proprio all’approccio progettuale aperto che si deve l’attualità dei progetti di Lina che ha sempre cercato di superare le barriere artificiali tra discipline, per costruire visioni coerenti con il contesto sociale e umano in cui si sarebbero inserite. Il risultato è così eccellente che anche oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, i progetti di questa architetta poliedrica sono di grande ispirazione. La Capela Santa Maria dos Anjos, un quadrato con gli angoli tagliati, infonde ottimismo e con semplicità ricorda a tutti che:

il progetto deve materializzare il pensiero e quindi è questo quello di cui devono occuparsi architetti e designer, devono coltivare pensieri e per farlo devono ascoltare le gente e le comunità, prendendosi cura di quelle culturalmente meno rappresentate e valorizzando la dignità dei loro strumenti. 

Lina Bo

La nostra cartolina di oggi rende onore a tutto ciò e annuncia che la prossima Biennale sarà proprio questo, una fucina di pensieri, un laboratorio per interventi in scala umana, un’occasione lunga sei mesi ed oltre per superare i confini tra discipline, per confondere i limiti fisici e teorici, per costruire visioni politiche generose e, citando le parole del Direttore Roberto Cicutto,“per diffondere un rinnovato desiderio d’architettura”.